Articolo pubblicato su l’Adige.it al 16 aprile 2016 di Costanza Giannelli
Un impasto di fragilità e spavalderia. Ma era stato un cucciolo d’oro. Bello, precoce, socievole, molto desiderato, molto celebrato, cresciuto come un piccolo messia con miracolose attitudini. Pigiama party alla scuola materna, tre lingue in prima elementare, corsi di arti circensi, musica, gare di sci, la media del nove. Una madre che lavora a tempo pieno e ha bisogno di organizzare una buona separazione, precoce e prolungata del suo bambino.
Lui ha già molti amici, non ha problemi a passare la notte a casa loro, tanto ha già fatto una notte tra gli squali, con il sacco a pelo, al Muse. Sfigati i compagni che non ce li hanno mandati. Solo che poi, all’improvviso e inspiegabilmente, a nove anni, durante una prova di italiano con la lavagna/digitale/interattiva non si ricordava un passaggio, non ha capito più nulla, l’ordine delle lettera da digitare, ha cominciato a respirare sempre di più, e più che respirava e più che la testa girava, poi il cuore a mille, poi il sudore e la paura, poi non sentire più le mani e i piedi, poi cadere a terra, il 118. Attacco di panico hanno detto. Non riuscire a ritmare il respiro. Lento, respira lento, inspira, dentro, con calma. Come si fa? Non ci riesco.
C’era una volta Narciso, era figlio della ninfa Liriope e di un fiume, nato di indescrivibile bellezza e grazia. Fu condotto dalla madre che voleva conoscere il suo destino, da Tiresia, punito con la cecità ma col dono del vaticinio.
Il Vate ascoltò le richieste di Liriope e con tono grave le disse che suo figlio avrebbe avuto una lunga vita se non avesse mai conosciuto se stesso. Liriope non comprese la profezia e con il passare degli anni, dimenticò.
Cresciuto molto amato, ma rifuggendo ogni relazione amorosa, Narciso, si smarrisce nel bosco e invoca aiuto. La ninfa Eco, di lui silenziosamente innamorata sente le sue urla, accorre e gli si rivela a braccia aperte. Incapace di comprendere l’offerta di amore, Narciso fugge da lei inorridito. Di Eco, restò solo una flebile, risonante voce. Ma giunse Nemesi, Dea attenta che lo condusse ad una fonte per bere. Chinatosi, s’imbattè nella sua immagine riflessa, se ne innamorò perdutamente. Toccare quell’immagine voleva, ma quella compariva e poi scompariva, senza mai farsi afferrare. Incredulo per tanto rifiuto, Narciso si lasciò morire.
I nostri Narcisi hanno un bisogno estremo di essere riconosciuti, salire sulla ribalta e intonare il loro canto in attesa dell’applauso ristoratore. Ma può accadere che i destinatari dell’esibizione e della richiesta di rispecchiamento, lungi dall’essere teneri, mostrino il loro disappunto, o l’indifferenza e, inconsapevoli, infliggano a Narciso l’esperienza intollerabile dell’umiliazione. Narciso ne rimane assiderato. Ferito a morte dall’umiliazione deve sottrarsi allo sguardo dell’altro, blindarsi nel rifugio solitario e meditare la vendetta. L’adolescente di oggi è un grande inventore di vendette.
Quel bambino cresciuto per aggiunte e mai per vuoti, che non ha abitato il silenzio, l’attesa, la sana sconfitta, tutto proteso a fare, primeggiare, competere, non sa respirare «dentro». È stato caricato a salve, saltellando tra scuole dove la relazione umana è un optional, la pipì è consentita solo a certe ore, la competizione è la regola. Genitori moderni e democratici lo hanno caricato di materia, materia molto colorata o luccicante ad illuminare stanze e anche le loro scarpe, come ali di razzi missili di domestici ufo-robot. Oppure li hanno invitati ad immergersi in materia impalpabile come il denso mondo offerto nella rete.
Bello mondo, lontano, inafferrabile quanto affascinante, permette di non abitare l’interiorità, non riesce a formare la sponda su cui, dentro di sé può venire accolto il mondo, perché il mondo è continuamente trattenuto fuori.
La tecnologia come specchio di richiamo per questi giovani, fragili «narcisi»: il sé idealizzato trova espressione in una modalità di rispecchiamento orizzontale, senza regole, senza confini, senza consapevolezza.
Un luogo immaginario di incontro e aggregazione. Un limbo dove stazionare per non affrontare il reale, così pieno di nulla o di laceranti sconfitte. E nella rete, se si è riconosciuti e apprezzati da altri si può più facilmente sviluppare e affrontare l’identità frammentata.
Nelle rete si può apparire e scomparire senza alcuna responsabilità e regola. E così si possono avere grandi ali, volare a mille, assumere altri volti, altri nomi. Le identità personali diventano ancora più fragili.
Dichiarare candidamente di voler morire (per mettersi in salvo dall’orrore della perdita della bellezza) o smettere di mangiare sono uno dei tanti ricatti/vendette che ci vengono offerti e che forse ci meritiamo, popolo di adulti caduti dalle nuvole che tremebondi e ingenui, transitiamo un cambiamento epocale. Solo il legame consapevole e coraggioso, anche con la terra, i suoi ritmi, i riti di passaggio, il tempo abitato dall’ozio o dall’abbandono-sconfitta possono essere l’antidoto a quel salto nel buio, temuto e frequente.
Troppo desiderare, troppo avere, troppo sapere, troppe soglie buie varcate in anticipo, con corpo fragile, senza corazza e senza la spada giusta. Occorre far smarrire di nuovo Narciso, trasformarlo in altro eroe, un Parsifal disperato che perduto nel fitto bosco molla le briglia del cavallo e lascia che sia lui a decidere fra il crepaccio o un’altra direzione. Consegnare le forze, una resa, dopo un’immensa stanchezza, la tensione assillante del risultato. È lì che si guadagna il Graal.
E allora, dopo questa Era costellata di bambini e giovani sempre più dolenti, avvolti dal buonismo che dilaga e da teorici dell’Accoglienza dedicata a ipotetici Ultimi da salvare, mentre non si sa accogliere neppure il vicino di casa se la pensa diversamente, analfabeti nel decifrare la paura di un bambino, incapaci di guardare dritto negli occhi di una donna (più semplice massacrarla), forse ci sarà concesso un nuovo modo di pensare. Magari un bambino molto intelligente sarà una minaccia per tutti e ci saranno maestri speciali che gli insegneranno a tornare indietro, gli insegneranno il volto del fiore e dell’animale e, finalmente, lo quieteranno. «Forse sono i bambini a sostenere il mondo e gli animali, forse sono i cuccioli d’ogni specie.
C’è tanta gioia dentro quei corpi piccoli tanta di quella preghiera, forse sono i bambini i fiori l’acqua, le cose fatte da due mani, la quiete di una casa, robe di niente [….]» (M. Gualtieri).